Paper published in: Sala, N. (Ed.) (1999), Atti del Convegno: Bonaventura Cavalieri alter Archimedes, 27-28 marzo 1998, Comune di Verbania

 

 

LE FIGURE SIMILI NELLA

GEOMETRIA DEGLI INDIVISIBILI

DI BONAVENTURA CAVALIERI

 

Uno studio storico per un’esperienza didattica

 

 

Giorgio T. Bagni
 
Dipartimento di Matematica,
Università di Roma “La Sapienza”

 

 

 

Summary. In this paper the 10th definition given in the first Book of the main work by B. Cavalieri (1598?-1647), Geometria indivisibilibus continuorum nova quadam ratione promota (1635), is studied. This definition can be compared with the 2nd definition given in the 6th Book of Apollonios’ Konika: these definitions are quite similar, but Apollonios’ one is referred only to Conics, so it is superabundant, while Cavalieri’s one is referred to general plane figures and it is not superabundant. Finally, an educational research is briefly presented.

 

 

INTRODUZIONE

 

Molte ricerche sono state dedicate alla personalità scientifica di Bonaventura Cavalieri (1598?-1647)[1] ed alle sue opere principali, tra le quali spicca la Geometria degli indivisibili (l’edizione originale è del 1635; la seconda, postuma migliorata, è del 1653: Geometria indivisibilibus continuorum nova quadam ratione promota, De Ducijs, Bononiae)[2]. Il ruolo di Cavalieri nello sviluppo della matematica del xvii secolo viene spesso primariamente collegato dagli storici della scienza al metodo degli indivisibili (sebbene recenti studî abbiano ripreso il ruolo cavalieriano nell’àmbito della scuola galileiana: Giusti, 1993)[3].

Sarebbe tuttavia riduttivo limitare l’interesse della Geometria degli indivisibili all’introduzione del metodo cavalieriano che ebbe una chiara importanza nella fase preparatoria all’introduzione del calcolo infinitesimale[4]. Gli scritti matematici di Cavalieri rivelano un’impostazione interessante e personale, ad esempio per quanto riguarda la formulazione delle definizioni.

 

 

 

Frontespizio della Geometria indivisibilibus continuorum di Cavalieri (Bologna, 1635)

 

 

LA DEFINIZIONE DI FIGURE SIMILI

 

Il Libro I della Geometria degli indivisibili (che fu redatto dall’Autore solo dopo avere scritto i quattro Libri dal II al V) è dedicato alle definizioni ed ai risultati preliminari. Esaminiamo la definizione X in esso contenuta:

 

“Si chiameranno, in generale, simili [due] figure piane, in ognuna delle quali singolarmente presa possono essere condotte tangenti opposte, e segmenti aventi gli estremi su di esse, che le incontrano secondo il medesimo angolo dalla medesima parte, in modo che, se si conducono comunque linee rette tra le due tangenti opposte, ad esse parallele, secanti i segmenti che incidono le rette tangenti similmente dalla medesima parte, troviamo che le porzioni di queste parallele, nonché delle tangenti opposte, che sono poste dalla medesima parte tra i detti segmenti incidenti, e il perimetro delle figure, prese nel medesimo ordine, hanno tra di loro lo stesso rapporto dei segmenti rettilinei incidenti a dette tangenti, e aventi gli estremi su di esse” (Lombardo Radice, 1989, p. 69).

 

Riportiamo la figura presente nella citata edizione del lavoro di Cavalieri:

 

 

La condizione per la similitudine espressa nella definizione X può essere scritta nel modo seguente[5]. Quando:

 

       OP : O’P’ = OQ : O’Q’

 

allora risulta:

 

       CP : C’P’ = OQ : O’Q’          e          DP : D’P’ = OQ : O’Q’

 

Il confronto della definizione ora ricordata con alcune classiche definizioni di figure simili è molto interessante.

Ad esempio, la definizione esaminata di figure simili è del tutto diversa dalla definizione euclidea (riferita alle sole “figure rettilinee”, introdotte nella definizione XIX del Libro I degli Elementi; modernamente esse corrispondono ai poligoni: Frajese & Maccioni, 1970, pp. 69 e 359):

 

“Sono figure rettilinee simili quante abbiano gli angoli, uno ad uno, rispettivamente uguali, e proporzionali i lati che comprendono gli angoli uguali”[6].

 

 

 

Il frontespizio degli Elementi euclidei con il commento di Commandino (Pesaro, 1619)

 

 

LA DEFINIZIONE DI APOLLONIO

 

Molto interessante è considerare la definizione di similitudine tra sezioni coniche che compare come definizione II del Libro VI delle Coniche di Apollonio:

 

“Chiamiamo simili [due] sezioni coniche nelle quali, se si conducono rette coniugate a un’asse, in ciascuna delle sezioni, e se si divide ogni asse in un medesimo numero di parti, ovvero in un medesimo rapporto, allora tali rette coniugate sono ordinatamente proporzionali ai segmenti dell’asse da essi staccate a partire dal vertice”[7].

 

 

 (Nella figura precedente è riportata quella originale in: Apollonio, 1661, p. 135; il lettore potrà constatare che essa sembra riferita a due figure congruenti).

 

 

 

Il frontespizio della prima edizione dei libri V, VI e VII delle Coniche (1661)

 

 

Non è difficile ravvisare l’analogia di questa definizione con la definizione cavalieriana sopra riportata. Osserviamo tuttavia che l’edizione veneziana del 1537 delle Coniche di Apollonio, a cura di G.B. Memo, era limitata ai soli primi quattro Libri; analogamente per quella bolognese del 1566 dovuta a F. Commandino (Loria, 1929-1933) e per molte edizioni seguenti fino alla metà del xvii secolo (Apollonio, 1655). Al momento della redazione della Geometria degli indivisibili, Cavalieri non poteva conoscere la celebre prima edizione borelliana dei Libri V, VI, VII delle Coniche (Apollonio, 1661), pubblicata a Firenze ben ventisei anni dopo la prima edizione della Geometria degli indivisibili[8].

 

 

 

Il frontespizio dell'edizione di Anversa (1655) dei primi quattro libri delle Coniche

 

 

In uno Scolio immediatamente precedente la definizione X, però, Cavalieri menziona il Libro VI delle Coniche, e riferisce di essersi basato sulla presentazione indiretta data di esso nei Commentarii ad Archimede e ad Apollonio dovuti ad Eutocio di Ascalona (vi secolo d.C.):

 

“Scolio. Le altre definizioni, quelle date da Euclide di figure piane simili, e solide, e di cilindri e coni simili, e quelle che vengono date da Apollonio, nel libro sesto delle Coniche, di porzioni simili di sezioni di cono, stando a quanto riferisce Eutocio, si prendano così come sono addotte da quegli autori, aggiungendo tuttavia alla definizione di sezioni coniche simili nello stesso luogo data da Apollonio ciò che sarà più avanti detto, se essa verrà applicata agli spazi [racchiusi dalle curve]” (Lombardo Radice, 1989, p. 68).

 

CONFRONTO TRA LE DUE DEFINIZIONI

 

Nello Scolio sopra ricordato, Cavalieri afferma dunque di accettare la definizione di Euclide per i poligoni e quella di Apollonio per le sezioni coniche; solo in un secondo momento, come abbiamo potuto constatare, quest’ultima definizione viene applicata dall’Autore a figure più generali (la corrispondente definizione cavalieriana nel caso di figure solide è la XI: Lombardo Radice, 1989, pp. 74-75).

 

 

 

Il frontespizio degli Elementi euclidei con il commento di Clavio (Roma, 1603)

 

 

A tale proposito, è importante osservare che questa estensione viene ad assumere un significato matematico che va oltre la semplice considerazione di una più ampia classe di figure.

La definizione di Apollonio è infatti chiaramente sovrabbondante se riferita alle sole sezioni coniche: è noto infatti che affinché due coniche siano simili è sufficiente che esse abbiano la stessa eccentricità (si veda ad esempio: Castelnuovo, 1931, pp. 453-454) e dunque in tale caso non risulta necessario imporre la più gravosa condizione espressa nella definizione II del Libro VI delle Coniche.

Nella Geometria degli indivisibili, pertanto, Cavalieri non solo estende consapevolmente l’impostazione di Apollonio alla similitudine di una classe più ampia di figure (e proprio in questa generalità possiamo evidenziare uno dei grandi pregi dell’intera opera cavalieriana, come ben sottolineato in: Lombardo Radice, 1989, p. 70); ma egli, basandosi sull’antica considerazione delle sole sezioni coniche, ne applica correttamente la condizione di similitudine a figure generalmente intese, per le quali la concezione dell’eccentricità sarebbe chiaramente improponibile[9]. In tale modo Cavalieri si mostra in grado di “sfruttare” le potenzialità dell’elegante ed efficace definizione di figure simili data nel Libro VI delle Coniche[10] assai più a fondo di quanto abbia fatto lo stesso Apollonio; e può inoltre così eliminare il carattere di sovrabbondanza di tale importante definizione.

 

 

IMPORTANZA DELLA DEFINIZIONE DI

FIGURE SIMILI NELLA GEOMETRIA DEGLI INDIVISIBILI

 

La definizione X del Libro I della Geometria degli indivisibili, precedentemente analizzata, assume un’importanza fondamentale nello sviluppo del trattato di Cavalieri. La nozione di figure simili (piane e solide) viene infatti ripresa in termini spesso decisivi nel corso di tutto il lavoro cavalieriano.

Interessante, a tale proposito, è il compendio della Geometria degli indivisibili proposto da Paolo Frisi nell’Elogio di Bonaventura Cavalieri (Frisi, 1825; la dedica dell’Autore a Pietro Verri porta la data del 20 marzo 1778):

 

“Ecco il prospetto di tutta la Geometria degl’Indivisibili. Nel primo libro, e in una porzione del secondo, incomincia il Cavalieri a trattare di quelle quantità, in cui tutti gli elementi analoghi hanno tra loro la stessa proporzione. Il suo lungo ragionamento si ridurrebbe sostanzialmente a questa semplice proporzione: Che tutte le figure, i cui elementi crescono o scemano similmente dalla cima alla base, sono alla figura uniforme della base medesima e della medesima altezza nella proporzione costante, con cui gli elementi crescono o scemano. Il Cavalieri... ha fatto vedere come [a ciò] si riduca una gran parte della Geometria degli antichi” (Frisi, 1825, pp. 209-210).

 

 

 

Il frontespizio di Operette scelte di Frisi (Milano, 1825; la dedica è del 20 marzo 1778),

in cui è incluso l'Elogio di Bonaventura Cavalieri

 

 

Già nel Libro I, infatti, Cavalieri dedica un’Appendice prima alla “spiegazione dell’antecedente definizione X” (Lombardo Radice, 1989, pp. 72-74; un’analoga Appendice seconda è dedicata alle figure solide, pp. 76-79). Poco oltre, l’Autore conferma in uno Scolio di essere consapevole dell’importanza della generalizzazione introdotta per la similitudine delle figure piane (e solide):

 

“Scolio. Per quel che concerne il nome di figure simili, è da avvertire peraltro che, quando chiamo simili figure piane, o solide, io intendo, con ciò per esse le definizioni generali sopra allegate; quando invece le chiamo con nomi particolari, intendo le definizioni particolari da altri, o da me allegate per la loro similitudine; così, quando dirò porzioni simili di sezioni di cono, intenderò la loro definizione particolare, e quando dirò parallelogrammi simili intenderò riferirmi alla definizione particolare di figure rettilinee [poligoni] simili, e così in altri casi, giacché più sotto dimostreremo che dalle medesime figure sono verificate ambedue le definizioni, sia la particolare che la generale” (Lombardo Radice, 1989, p. 79)[11].

Alcuni risultati di seguito presentati sono esplicitamente collegati alla similitudine (ad esempio le proposizioni XI, XII, XIII, XIX, XX, XXI, XXII); rispetto alle concezioni classiche (di Euclide e di Apollonio), l’Autore si riferisce ad un’impostazione ben più ampia, in quanto nella trattazione euclidea, ad esempio “si parla solo di coni in senso elementare e non di solidi conici nell’accezione (più generale) di Bonaventura Cavalieri” (Lombardo Radice, 1989, p. 113)[12].

Anche nei Libri successivi del trattato la nozione di figure simili si mantiene fondamentale: già nel Libro II, centrale per la precisazione del metodo degli indivisibili, la definizione VIII è dedicata all’introduzione di “tutte le figure simili” rispetto ad una figura assegnata (Lombardo Radice, 1989, pp. 195-196).

Un completo esame dello sviluppo del trattato cavalieriano esula dagli scopi del presente lavoro; quanto sopra osservato ci consente tuttavia di concludere che la generalità conferita da Cavalieri alla nozione di figure simili con la definizione X del Libro I anticipa e riflette la pregevole, essenziale generalità di tutta la Geometria degli indivisibili e, in ultima analisi, del metodo degli indivisibili.

 

 

 

Il frontespizio della prima edizione di Opuscula Mathematica (Venezia, 1575) di Maurolico

 

 

UN’ESPERIENZA DIDATTICA

 

Considerazioni come le precedenti possono avere alcune interessanti ricadute in ambito didattico[13]. Le definizioni di figure simili di Apollonio-Cavalieri e di Euclide riflettono evidentemente due concezioni epistemologiche ben diverse, la cui importanza didattica può essere valutata sperimentalmente.

La necessità di un’attenta storicizzazione delle concezioni epistemologiche della geometria è ad esempio sottolineata da E. Barbin:

 

“Ogni lettura suppone una re-interpretazione ed ogni scrittura suppone una ri-appropriazione di idee o di conoscenze. Le re-interpretazioni e le ri-appropriazioni del sapere geometrico attraverso le opere di geometria elementare corrispondono... a delle concezioni epistemologiche. Ma queste concezioni devono essere, esse stesse, situate nel loro contesto storico” (Barbin, 1994, p. 157; la traduzione è nostra)[14].

 

Un’esperienza didattica, tuttora in corso, riguarda l’influenza delle diverse impostazioni geometriche nell’apprendimento di alcuni concetti fondamentali (A. Gagatsis, Università di Cipro, e G.T. Bagni). In particolare, abbiamo voluto esaminare, mediante un test, se una prima presentazione della similitudine di triangoli condotta mediante la definzione di Euclide viene ad essere più chiara ed efficace di un’analoga presentazione condotta attraverso la definizione (più generale) di Apollonio-Cavalieri.

Illustreremo brevemente tale ricerca (ci siamo basati su alcune precedenti esperienze; ad esempio: Demetriadou & Gagatsis, 1995; Gagatsis & Thomaidis, 1995; si veda inoltre: Hoffer, 1981).

Ai 98 allievi di quattro classi della Scuola Media (II corso, allievi di 12-13 anni), a Treviso, Italia, sono stati proposte due schede. Le classi sono state divise in due gruppi, a caso, di 49 allievi ciascuno (li indicheremo come: gruppo A e gruppo A): la seguente scheda A è stata fornita agli allievi del gruppo A, la seguente scheda B agli allievi del gruppo B.

Al momento del test, gli allievi conoscevano le nozioni basilari della geometria euclidea e le nozioni di rapporto e di proporzione. Non avevano ancora trattato la geometria delle coordinate. Particolarmente importante è sottolineare che essi non avevano ancora trattato la similitudine.

 

Scheda A (Apollonio-Cavalieri)

 

 

Le rette AO, CP, BQ sono parallele e sono perpendicolari alla retta OQ. Le rette A’O’, C’P’ e B’Q’ sono parallele e sono perpendicolari alla retta O’Q’.

Scegli le rette passanti per P e per P’ come vuoi, in modo però che il rapporto tra OP e O’P’ sia uguale a quello tra OQ e O’Q’ (ad esempio, se OQ = 2O’Q’, deve essere OP = 2O’P’). Sai allora che:

-      il rapporto tra CP e C’P’ è uguale al rapporto tra OQ e O’Q’ (nell’esempio: CP = 2C’P’);

-      il rapporto tra DP e D’P’ è uguale al rapporto tra OQ e O’Q’ (nell’esempio: DP = 2D’P’).

Che cosa puoi dire dei triangoli nella figura?

 

Scheda B (Euclide)

 

 

Il rapporto tra AB e A’B’ è uguale al rapporto tra AC e A’C’ ed è uguale a quello tra BC e B’C’ (ad esempio, se è AB = 2A’B’, è anche AC = 2A’C’ ed è BC = 2B’C’).

Per quanto riguarda gli angoli interni dei triangoli, sai che:

-      l’angolo in A è congruente all’angolo in A’;

-      l’angolo in B è congruente all’angolo in B’;

-      l’angolo in C è congruente all’angolo in C’.

Che cosa puoi dire dei triangoli nella figura?

 

Tempo accordato: 5 minuti (abbiamo voluto che gli allievi esaminassero il problema velocemente, quasi “a colpo d’occhio”).

Non è stato consentito l’uso di libri di testo o di appunti.

 

Risultati del test: scheda A

 

Le risposte fornite dagli allievi possono essere ricondotte alle seguenti:

 

Sono uno il doppio dell’altro

(prevedibile riferimento al caso particolare dell’esempio)          21        43%

Uguali (congruenti)                                                               1          2%

Diversi (più piccolo e più grande etc.)                                             11        22%

Hanno la stessa forma (in scala etc.)                                               11        22%

Nessuna risposta                                                                             5        11%

 

Risultati del test: scheda B

 

Le risposte fornite dagli allievi possono essere ricondotte alle seguenti:

 

Sono uno il doppio dell’altro

(prevedibile riferimento al caso particolare dell’esempio)          18        37%

Uguali (congruenti)                                                               0          0%

Diversi (più piccolo e più grande etc.)                                               6        12%

Hanno la stessa forma (in scala etc.)                                               14        29%

Nessuna risposta                                                                           11        22%

 

Riassumiamo i risultati nella figura seguente (che fornisce soltanto una rappresentazione qualitativa).

 

 

Rileviamo innanzitutto che l’esiguità del campione (il quale peraltro non è stato individuato mediante criterî di rilevanza statistica) non consente ancora la formulazione di considerazioni aventi validità generale.

Possiamo comunque notare che, indicativamente, l’approccio intuitivo alla similitudine basato sulla definizione di Apollonio-Cavalieri e quello basato sulla definizione di Euclide appaiono pressoché equivalenti (e ciò accade nonostante la constatata maggiore generalità della definizione di Apollonio-Cavalieri): la differenza delle percentuali delle risposte che fanno riferimento alle figure simili (22% per la scheda A e 29% per la scheda B) è infatti troppo esigua per poter essere considerata rilevante.

Alcuni allievi sono stati intervistati (singolarmente, ma alla presenza dei compagni, in classe). Le giustificazioni fornite non rivelano sostanziali differenze tra i gruppi A e B. Esse rivelano comunque una netta influenza dell’esempio proposto: 47 allievi (il 48% del totale dei due gruppi A e B) hanno fatto esplicito riferimento al caso particolare (tale tendenza era evidente anche dall’esame preliminare dei risultati: il 40% degli allievi ha affermato che i due triangoli considerati sono uno il doppio dell’altro). Tra coloro i quali hanno riconosciuto che i due triangoli hanno la stessa forma, 19 allievi su 25 (il 19% del totale dei due gruppi A, B) hanno fatto riferimento alla figura.

Ulteriori e più precisi risultati potranno essere ottenuti considerando campioni più significativi e predisponendo test più organici, la cui analisi sia condotta anche sulla base di interviste approfondite. Sarà inoltre opportuno esaminare, con riferimento ai superiori livelli scolastici, l’influenza dello studio dei vettori e della geometria delle coordinate.

 

 

 

La statua di Cavalieri a Brera (Milano), dall'Elogio di B. C. di Gabrio Piola (1844)

 

 

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[1] Nel 1808, Francesco Maria Franceschinis parlava dell’analisi matematica come del “nuovo geometrico strumento... dell’italiano Cavalieri” (Franceschinis, 1808, p. 57; Bagni, 1992). Per la biografia di Cavalieri si possono consultare: Frisi, 1825; Piola, 1844; Favaro, 1885; Bortolotti, 1947; Carruccio, 1971; Lombardo Radice, 1989. Per una rassegna bibliografica storica: Riccardi, 1952; Barbieri & Pepe, 1992.

[2] Sulla Geometria degli indivisibili e sul ruolo del metodo degli indivisibili segnaliamo: Bortolotti, 1928; Castelnuovo, 1938; Enriques, 1938; Geymonat, 1947; Conforto, 1948; Bourbaki, 1963; Boyer, 1969 e 1982; Carruccio, 1972; Arrighi, 1973; Koyré, 1973; Bos, 1975; Giusti, 1980 e 1982; Dupont, 1981; Menghini, 1982; Kline, 1982 e 1991; Andersen, 1985; Bottazzini, 1988 e 1990; Edwards, 1994; Bagni, 1996, II. Su altri scritti cavalieriani segnaliamo: Cioffarelli, 1982; Giuntini, Giusti & Ulivi, 1985; Baroncelli, 1987; Bottazzini, 1987; Ulivi, 1987.

[3] Sulla scuola galileiana, oltre al citato studio di E. Giusti sulla teoria delle proporzioni (Giusti, 1993), segnaliamo: Eneström, 1912; Vacca, 1915; Agostini 1925; Segre, 1958; Cavazza, 1979-1980; Matteuzzi, 1979-1980; Pepe, 1982; Maracchia, 1992. Per alcuni testi originali: Torricelli, 1644; Valerio, 1661; Smith, 1959; Bottazzini, Freguglia & Toti Rigatelli, 1992.

[4] Cavalieri non fu il primo a formulare il principio che viene ricordato con il suo nome. Il matematico cinese Tsu Keng-Chih, che visse nel v secolo d.C., espresse la stessa idea in una breve poesia:

         Se due volumi sono costituiti da blocchi sovrapposti,

         E le corrispondenti aree sono uguali,

         Allora i volumi non possono essere diversi”.

(Van der Waerden, 1983, p. 205).

[5] Interessante è notare che Cavalieri sottintende in forma velata ed implicita l’im­piego di un sistema di coordinate. Tuttavia l’impostazione cavalieriana appare legata ai segmenti e non già alle loro misure; anche per questo aspetto, dunque, Cavalieri “sem­bra a noi piuttosto l’ultimo dei geometri antichi che non il primo dei matematici mo­derni” (Lombardo Radice, 1989, p. 71).

[6] “Similes figurae rectilineae sunt, quae et angulos singulos singulis aequales habent, atque etiam latera, quae circum angulos aequales, proportionalia” (Clavio, 1603, p. 753; pressoché identica è la definizione riportata in: Commandino, 1619, p. 71; la traduzione nel testo è in: Frajese & Maccioni, 1970, p. 359). Sull’interpretazione degli Elementi si veda: Enriques, 1930. Sulla bibliografia euclidea: Riccardi, 1887-1890.

[7] “[Sectiones] similes verò sunt, in quibus omnes potentiales ad axium abscissas utrobique sunt in ijsdem rationibus, tum abscissae ad abscissas” (Apollonio, 1661, p. 133; la traduzione citata nel testo è in: Lombardo Radice, 1989, pp. 70-71). Sull’opera di Apollonio segnaliamo ad esempio: Freguglia, 1982; Van der Waerden, 1983.

[8] G. Vacca segnala l’importanza del Libro II dell’opera De lineis horarijs libri tres di F. Maurolico (Maurolico, 1575, pp. 161-285), nel quale l’Autore “pubblicò un compendio delle Coniche, esponendo le proprietà delle tangenti e degli asintoti” (Vacca, 1929, p. 686). Oltre al libro II di tale lavoro (pp. 211-262), ci sembra importante anche il successivo Libro III (pp. 263-285). Si noti che l’opera ora citata non deve essere confusa con il quasi omonimo Tractatus de Lineis horarijs, pubblicato anch’esso negli Opuscula mathematica dello stesso Autore (Maurolico, 1575, pp. 80-102). Maurolico aveva inoltre pubblicato a Messina nel 1554 una Emendatio et Restitutio Conicorum Apollonii Pergaei, nella quale cercò “di compiere una divinazione dei due [Libri] successivi [il V e il VI], giovandosi per ciò delle informazioni date da Pappo; scoperte che furono le versioni arabe di quei due Libri, si notò che, riguardo al V... il matematico messinese si era molto scostato dal Pergeo, mentre, per quanto concerne il VI... il distacco è assai meno considerevole” (Loria, 1929-1933, p. 355).

[9] Si noti che nella Geometria degli indivisibili non troviamo una esplicita definizione del termine figura; osserva L. Lombardo Radice: “una definizione [di figura] avrebbe implicato dei criteri topologici, ed era impossibile per il Cavalieri anticiparli” (Lombardo Radice, 1989, p. 60).

[10] Nelle Coniche di Apollonio non viene introdotta la moderna nozione di eccentricità di una sezione conica (Loria, 1929-1933).

[11] Tutta la seconda parte del Libro I, dalla proposizione XXVII alla XLVII, è dedicata alla dimostrazione che le figure classicamente definite (ad esempio il cono) sono casi particolari delle figure generali introdotte (ad esempio i solidi conici).

[12] Riportiamo ad esempio la definizione cavalieriana di solido conico: “Definizione IV. Data una figura piana qualunque, fuori dal piano della quale sia preso un punto qualunque, dall’una o dall’altra parte, se si conduce da esso ad un punto qualsivoglia del perimetro della figura una linea retta, anche prolungata indefinitamente, ed essa si muove lungo il perimetro fino a percorrerlo tutto, allora il punto che si è preso sarà il vertice del solido, compreso dalla superficie descritta dal segmento, che si muove in giro, racchiuso tra il perimetro della figura data e il punto che si è preso: vertice, rispetto alla figura data, come si proverà. Tale solido si chiami poi: solido conico, del quale la base è la figura data e il vertice il punto detto” (Lombardo Radice, 1989, pp. 65-66).

[13] Ad esempio, gli scopi di una dimostrazione possono essere diversi: ricordiamo che gli antichi matematici cinesi distinguevano la modalità bian (la quale mirava a convincere) dalla modalità xiao (che mirava a far capire, come sottolineato in: Barbin 1988). Sulla dimostrazione, si veda: Furinghetti, 1992. A tale riguardo, citiamo inoltre G. Hanna: “Con l’attuale enfasi su di un insegnamento ‘significativo’ della matematica, gli insegnanti sono incoraggiati a dedicare attenzione alla spiegazione dei concetti matematici e agli studenti è richiesto di giustificare i propri risultati e le proprie asserzioni. Questo sembrerebbe essere il clima giusto per rendere la maggior parte delle dimostrazioni uno strumento di spiegazione e per esercitarlo come definitiva forma di giustificazione matematica. Ma perché questo succeda, gli studenti devono familiarizzare con i criterî del ragionamento matematico: in altre parole, si deve insegnar loro la dimostrazione” (Hanna, 1997, p. 250). Sulla storia nella didattica della matematica segnaliamo inoltre: Weil, 1980; Swetz, 1989 e 1995; Pepe, 1990; Fauvel, 1990 e 1991; Grugnetti, 1992; Furinghetti, 1993; Nobre, 1994; Calinger, 1996; Fauvel & van Maanen, 1997; Furinghetti & Somaglia, 1997.

[14] Nel citato lavoro vengono esaminate quattro edizioni degli Elementi euclidei: Les six premier livres des Éléments géométriques d’Euclide di Peletier du Mans (1557), i Nouveaux éléments de géométrie di Arnauld (1667), gli Éléments de géométrie di Clairaut (1765) e gli Éléments de géométrie di Lacroix (edizione del 1803). Indichiamo inoltre: Barbin, 1988 e 1991; Speranza, 1994.